13° Rapporto CRC: I diritti mancati di una generazione sospesa tra sogni e incertezze
La fotografia che ci troviamo ad osservare è quella che ritrae una realtà in cui le ragazze ed i ragazzi che vivono nel nostro Paese manifestano un malessere diffuso, che si esprime in diversi modi, ma riguarda tutte le sfere dell’esistenza e coinvolge le diverse fasce d’età. Pesa la percezione di un futuro incerto: crisi economiche ricorrenti, crescenti disuguaglianze, pandemia, guerre anche ai confini dell’Europa. Nello stesso tempo resta viva in molti bambini e ragazzi, sia la consapevolezza delle sfide che il mondo attraversa, sia la volontà di impegnarsi personalmente e collettivamente per affrontarle. Su queste grandi risorse, di coscienza e di solidarietà, si può e si deve far leva per rendere bambini e ragazzi più protagonisti del loro presente e del loro futuro.
Il lungo isolamento generato dal COVID ha comportato il rarefarsi dei luoghi di incontro ed ha indotto molti giovani e giovanissimi a chiudersi in sé stessi, e ad un eccessivo utilizzo dei media. I dati a livello nazionale evidenziano una sorta di “onda lunga” dell’aumentato rischio di dipendenza tecnologica tra bambini e adolescenti.
In molte delle nostre città mancano anche punti di riferimento territoriali, luoghi aggregativi aperti, spazi gioco, contesti di socializzazione occasionali e liberi come piazze e cortili. Senza considerare il tema della scarsità di spazi verdi cittadini a disposizione di bambini e ragazzi, essenziali per lo sviluppo psicofisico.
È quindi necessario e doveroso che gli adulti assumano responsabilità e riconoscano le mancanze dell’attuale sistema per avviare un ripensamento complessivo delle politiche avendo un orizzonte temporale di lungo periodo ed in maniera che coinvolga tutta la comunità educante, se non si vuole perdere di vista un’intera generazione. E per far questo è centrale ascoltare le ragazze e i ragazzi, promuoverne il protagonismo e tenere conto delle loro esigenze e della loro opinione per giungere alla piena attuazione dei loro diritti.
Gli strumenti nazionali di programmazione vanno ripensati, se si considera che quanto previsto dai Piani nazionali di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, compreso l’ultimo, si risolvono troppo spesso in un esercizio di confronto teorico che non viene tradotto in programmazione e politiche mirate al raggiungimento degli obiettivi identificati come prioritari.
Il Gruppo CRC, facendo leva anche sul prossimo appuntamento con il Comitato ONU, intende portare l’attenzione delle istituzioni sulle criticità del nostro sistema, valorizzare i punti di forza che emergono anche delle molteplici esperienze condotte a livello territoriale per innescare un cambiamento sistematico che veda tutti protagonisti nel farsi carico delle esigenze di una “generazione sospesa” tra sogni e incertezze.
Per approfondimenti si veda:
13° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della CRC in Italia – 13° Rapporto CRC
L’evento di presentazione del 13° Rapporto CRC “I diritti mancati di una generazione sospesa tra sogni e incertezze”
LE PRINCIPALI EVIDENZE DEL 13° RAPPORTO CRC
Il 13° Rapporto CRC ci offre sia un approfondimento tematico rispetto ai singoli diritti sia una visione globale della condizione dell’infanzia e adolescenza nel nostro Paese e delle criticità da affrontare proponendo puntuali raccomandazioni nel merito.
Per costruire risposte efficaci occorre avere uno sguardo d’insieme, a partire dalle risorse destinate all’infanzia e all’adolescenza, di cui invece non è possibile avere un monitoraggio puntuale perché sono ripartite tra differenti amministrazioni e fondi. Una visione completa manca anche rispetto ai dati perché il sistema di raccolta dati sulle persone di minore età è incompleto e frammentato, e spesso non permette la confrontabilità dei dati raccolti tra le differenti Regioni.
Tra le prime tematiche affrontate nel Rapporto c’è l’importanza di garantire l’accesso ad un’informazione chiara, sicura e rispettosa che rappresenta un diritto fondamentale per bambini, bambine e adolescenti, che oggi si informano principalmente attraverso la rete e in particolar modo usando i social media. La società digitale si caratterizza però per una sovrabbondanza di informazioni, spesso contraddittorie generando riferimenti confusi e confusivi. Diventa quindi determinante l’acquisizione di un’adeguata competenza digitale e norme di regolamentazione degli ambienti digitali che creino le condizioni affinché l’esposizione a rischi diffusi venga minimizzata.
Importante anche sensibilizzare i genitori, tanto più che l’esposizione ai dispositivi digitali interessa anche i bambini piccolissimi nonostante i danni di tale esposizione sullo sviluppo psicofisico siano noti: il 22,1% dei bambini di 2-5 mesi di vita passa del tempo davanti a TV, computer, tablet o telefoni cellulari; i tempi aumentano fino ad arrivare ad almeno 1-2 ore al giorno di esposizione a 11-15 mesi di età.
Il supporto alla genitorialità ed il sostegno non solo economico alle famiglie sono cruciali, passando da una logica riparativa rivolta a famiglie che già hanno incontrato difficoltà ad interventi preventivi a carattere universale, attraverso il coinvolgimento attivo dei genitori, fin da prima della nascita e con particolare attenzione ai primi 1000 giorni, attraverso la collaborazione di più settori. Va previsto un sistema fatto di azioni di accompagnamento diversificate e di diversa intensità, offerte da presidi territoriali, dai consultori, ai centri per le famiglie, agli spazi gioco per bambini dei quali è importante valorizzare il lavoro multidisciplinare e multi-agenzia.
I minorenni in condizione di povertà assoluta sono 1 milione 269 mila, l’incidenza più alta tra la popolazione (13,4% a fronte di una media nazionale del 9,7% e del 6,3% per gli over 65). Ma ci sono anche altri aspetti da considerare: la povertà alimentare (nel 2021, il 5,2% dei giovani tra 1 e 15 anni non consumava un pasto proteico al giorno), la povertà abitativa (nel 2021 sono state censite 12.793 persone di minore età “senza tetto” e “senza fissa dimora, mentre il 7,5% dei minorenni sempre nel 2021 vive in condizioni di grave deprivazione abitativa), e poi la povertà educativa che riguarda non solo le condizioni materiali di accesso, ma anche il livello di opportunità di crescita e formazione.
I minorenni fuori dalla famiglia d’origine a fine 2020 erano complessivamente 26.223 pari al 2,8 per mille rispetto alla popolazione di minore età presente in Italia nello stesso periodo. Non sono disponibili dati più aggiornati in quanto permane la lacuna informativa più volte evidenziate in questi anni. Il sistema dell’accoglienza residenziale evidenzia una situazione di crisi rispetto alla tenuta complessiva, che richiede un’attenta riflessione e investimento di risorse economiche per evitare il rischio di progressiva dismissione in un contesto di evidente crescita del disagio minorile. In tale quadro va compresa anche l’urgenza del processo di integrazione sociosanitaria e si evidenzia la carenza di educatori professionali e di operatori sociali in genere.
Anche se l’Italia continua ad essere il secondo Paese al mondo per numero di bambini accolti in adozione internazionale, nel 2022 sono stati adottati 698 bambini di origine straniera (erano 2825 nel 2013 e 1394 nel 2018), con una durata media del percorso delle coppie che hanno adottato di poco più di 52 mesi. Il contesto delle adozioni internazionali, così ridimensionato nei numeri e così cambiato rispetto ai bisogni dei bambini adottabili, configura la necessità di una riforma.
In Italia continua a mancare una raccolta epidemiologica puntuale su abuso e maltrattamento sui minorenni. I dati invece disponibili mettono in luce un fenomeno preoccupante rispetto alle uccisioni di persone di minore età all’interno delle famiglie: dal 2010 a oggi in Italia sono stati commessi 268 figlicidi, una media di quasi uno ogni due settimane. Non ci sono informazioni aggiornate sugli orfani di femminicidio, ma nel 2020 si stimava che in Italia il totale ammontasse a circa 2.000 tra minorenni e maggiorenni. Rispetto alla violenza assistita si sa che tra le donne che hanno subito violenza, il 61,6% aveva figli/e, che nel 72,2% dei casi hanno assistito e nel 19,7% l’hanno subita.
Negli ultimi anni si assiste ad una diversificazione e all’emersione di nuovi fenomeni connessi all’abuso sessuale online: la diffusione di materiale pedopornografico prodotto artificialmente per rappresentare persone minorenni coinvolte in attività sessuali e/o in modo sessualizzato; la presenza di persone di minore età tra gli autori di forme di abuso sessuale online (cosi ad esempio rispetto ai casi di detenzione e diffusione online di pedopornografia nel 2022 sono stati 150 i ragazzi segnalati all’Autorità Giudiziaria come autori di reati gravi); la forma di ricatto online definita “sextortion” con un crescente coinvolgimento di bambini e ragazzi maschi (nel 2022 sono stati trattati 132 casi, la maggior parte dei quali nella fascia 14-17 anni). Si conferma invece la tendenza in atto di un importante numero di casi di adescamento online: 430 nel 2022.
Rispetto al tema delle punizioni corporali una recentissima sentenza della Cassazione Penale del giugno 2023 riafferma ancora una volta come condotte connotate da modalità aggressive siano incompatibili con l’esercizio lecito del potere correttivo ed educativo e che questo non debba mai ed in alcun modo compromettere l’armonico sviluppo della personalità del minorenne. Tuttavia, non è ancora stata avviato l’iter per una riforma normativa che vieti espressamente ogni possibilità di punizione corporale e violenta anche in ambito familiare.
Gli stereotipi di genere iniziano a radicarsi molto presto e pervadono ogni ambito della vita. Gli studi evidenziano come i condizionamenti subiti sin dall’infanzia frenano bambine e ragazze dallo scoprire, coltivare e perseguire le proprie aspirazioni in un campo considerato maschile (cosiddetto dream gap).
Per prevenire forme di violenza di genere e abusi sessuali occorre diffondere un’educazione alla sessualità e all’affettività rispettosa dell’altro/a, basata sul riconoscimento e sulla decodifica delle proprie emozioni e di quelle degli altri/e, del proprio e dell’altrui consenso, capace di accompagnare bambini e bambine, ragazzi e ragazze nel libero sviluppo della propria identità. Inoltre, educare i bambini e le bambine al rispetto delle differenze significa decostruire stereotipi, ruoli, norme che contribuiscono a legittimare le disuguaglianze di genere.
La crisi climatica attuale è strettamente connessa alla situazione dell’ambiente di vita dei bambini e ragazzi che vivono in Italia, caratterizzata da un inquinamento atmosferico di gran lunga superiore ai limiti suggeriti dall’OMS: il 77,4% delle misurazioni effettuate nelle città italiane superano i livelli tollerabili. Le temperature elevate estreme stanno diventando sempre più frequenti, con un numero sempre maggiore di giornate a rischio per calore estremo: nel 2020 sono stati esposti ad un’alta frequenza di ondate di calore 6,1 milioni di bambini. A ciò si aggiunge anche la riduzione degli spazi verdi e alberati all’interno delle città italiane. Del resto secondo un recente sondaggio il 48,3% di ragazze e ragazzi tra 12 e 18 anni è preoccupato per i cambiamenti climatici.
Il progressivo ridursi degli organici e delle competenze specialistiche pediatriche costringe bambine, bambini e adolescenti ad un sempre più frequente riferimento agli specialisti dell’area medica dell’adulto e le organizzazioni sanitarie a ricorrere alle cooperative di pediatri che prestano la loro opera “a gettone” per scongiurare, di fatto, la chiusura di molti reparti di pediatria. Al 1° gennaio 2022, quasi il 17% della popolazione di età 6-13 anni è già assegnata ad un Medico di medicina generale. Oltre il 25% dei bambini tra 0-17 anni viene ricoverato in reparti per adulti e l’85% dei degenti tra 15 e 17 anni è gestito in condizioni di promiscuità con pazienti adulti e anziani e da personale non specializzato nell’assistenza ai soggetti in età evolutiva. Tutto questo a fronte di un aumento esponenziale di bambini con patologie croniche complesse. Rispetto ai territori, persiste la frammentazione fra servizi dedicati all’età evolutiva, spesso afferenti a Dipartimenti diversi e localizzati in sedi differenti o distanti fra loro. Diventa quindi importante cogliere l’opportunità delle Case della Comunità come interlocutore territoriale in continuità con i servizi ospedalieri.
Nell’ultimo decennio è raddoppiato il numero di utenti minorenni che si rivolgono ai servizi di NPIA, ma su cento ragazzi con disturbi neuropsichiatrici, solo trenta ottengono risposte terapeutiche e riabilitative. La situazione si è ulteriormente aggravata dopo la pandemia, con un aumento dei tassi di ricovero pur nella carenza di posti letto, che nei reparti di neuropsichiatria infantile nel 2019 erano 394. La perdurante mancanza di un sistema informativo nazionale per la salute mentale delle persone di minore età rende difficile poter analizzare le attività territoriali e gli andamenti regionali. Permane la grave disomogeneità nell’organizzazione della rete dei servizi di NPIA nelle diverse regioni italiane, che determina disomogeneità nei percorsi e rende complesso garantire equità di risposte. Si rileva anche un incremento dei disturbi del comportamento alimentare (Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione – DNA), in particolare per le ragazze di 15-19 anni. La dipendenza da tecnologie digitali da parte di bambini e adolescenti sino al rifiuto della vita sociale o scolastica è in aumento così come la richiesta da parte dei genitori ai professionisti della salute mentale. Al 2022, l’autopercezione di essere Hikikomori, ovvero la percezione di essere una persona che evita il coinvolgimento sociale, non frequenta quasi più del tutto alcun amico e passa la maggior parte del tempo davanti a un monitor, isolato nella propria camera o abitazione, equivale a circa 38mila studenti compresi tra i 15 e i 19 anni.
Con il D.lgs. 65/2017 è stato istituito il Sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita ai sei anni, che comprende i servizi educativi per l’infanzia e le scuole per l’infanzia riconoscendo il carattere unitario del percorso educativo in questi anni. L’offerta di servizi educativi per l’infanzia si attesta sul 27,2%, con un lieve incremento rispetto all’anno precedente, ma non raggiunge ancora l’obiettivo previsto del 33% di copertura sulla popolazione sotto i tre anni, né tantomeno quello del 45% auspicato dalle più recenti indicazioni Europee.
Un giovane su dieci in Italia abbandona precocemente gli studi, dato che evidenzia come la dispersione scolastico-formativa nel nostro paese sia una questione di assoluto rilievo soprattutto in quanto fattore determinante nel produrre le diseguaglianze sociali, economiche territoriali, educative, culturali). Nonostante i progressi i cosiddetti ELET (Early Leavers from Education and Training) sono il 12,7% nel 2021 (erano 25,9%, nel 2001), una quota tra le più alte in Europa. Il quadro si arricchisce ulteriormente con i dati relativi alla cosiddetta “dispersione implicita o nascosta”, fenomeno che riguarda i giovani che, pur concludendo il ciclo scolastico non raggiungono i livelli di competenza previsti al termine del percorso di studi, che erano l’8,7%. nel 2023. Nelle scuole medie, 3 studenti su 5 hanno una preparazione soddisfacente, mentre alle scuole superiori il 50% è carente in matematica e il 49% in italiano. Nonostante la riduzione progressiva di alunni e sezioni/classi le classi sovraffollate, quelle cioè con più di 27 alunni, sono aumentate nell’anno scolastico 2022/23 (5.755 rispetto alle 5.543 dell’anno precedente).
Nell’anno scolastico 2021/2022, frequentavano le scuole italiane 872.360 iscritti stranieri (10,6% del totale della popolazione scolastica, percentuale significativamente superata in quasi tutte le regioni del Nord), di cui 67,5%, nati in Italia (83,1% nella scuola dell’infanzia, e 73,6% in quella primaria). La seconda generazione si conferma così la componente scolastica più giovane e destinata nei prossimi anni ad aumentare nelle scuole superiori, ma continua a rimanere esclusa dalla cittadinanza italiana visto che resta incompiuto il processo di riforma della Legge 91/1992 in maniera che faciliti l’acquisto della cittadinanza italiana per i minorenni di origine straniera.
La scuola rappresenta uno dei fondamentali contesti in cui sviluppare e orientare il percorso di crescita delle persone di minore età con disabilità e approntare le azioni atte a prevenire o rimuovere le condizioni che determinano una situazione di svantaggio, di discriminazione o minori opportunità. Rispetto alle risorse didattiche, ci sono criticità sulla formazione, sul ruolo e sulla continuità nella presenza del docente di sostegno nonché sui tempi di assegnazione alle classi: per il 40% degli alunni l’insegnante di sostegno è cambiato nel passaggio da un anno scolastico all’altro e nel 10% dei casi ciò è avvenuto nello stesso a.s. Rispetto agli Assistenti all’autonomia e alla comunicazione non vi è uniformità dei profili sul territorio nazionale e ciò determina la carenza di personale con competenze specifiche. Il 70% delle scuole non sono poi accessibili, solo il 24% degli alunni nella scuola primaria e il 40% degli alunni negli altri gradi di scuola partecipa alle gite scolastiche.
La situazione dell’edilizia scolastica complessivamente appare ancora molto critica, come tratteggiata dall’Anagrafe dell’Edilizia Scolastica: su 40.133 edifici scolastici solo il 39% è in possesso del certificato di agibilità ed il 56% del collaudo statico, mentre sono stati progettati, migliorati e adeguati alla normativa antisismica solo il 17% degli edifici, nonostante il 43% di essi insista in zone ad elevata sismicità.
Il fenomeno del bullismo è ancora diffuso e coinvolge un numero significativo di studenti. Il 25,3% degli studenti/esse delle scuole superiori ha dichiarato di essere stato vittima di bullismo da parte dei propri compagni (il 21% occasionalmente e il 4,3% in modo sistematico). Rispetto al bullismo basato sui pregiudizi, il 7,8% ha subito bullismo di tipo omofobico, mentre il 6,4% a causa di una disabilità.
Evidenze scientifiche dimostrano i benefici dello sport per le persone di minore età, non solo nella prevenzione di alcune patologie, ma anche come valido strumento per combattere le disuguaglianze sociali, poiché aiuta la socializzazione e migliora l’empowerment personale e la vita di chi lo pratica. Eppure, circa 1 bambino su 5 nell’età compresa fra i 6 e i 10 anni non pratica sport e nel 30% dei casi le ragioni sono di tipo economico. Già dopo la scuola primaria i bambini cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e aumenta il numero dei giovani sedentari, e permane l’annoso problema dell’abbandono sportivo in età precoce e soprattutto nel periodo dell’adolescenza, in cui questa attività viene spesso considerata la più sacrificabile della propria routine settimanale. Tra le motivazioni l’alto livello di stress di un’attività eccessivamente impegnativa in quanto improntata sull’alta competitività.
Il tempo libero è sempre più un tempo residuale, difficile da gestire in autonomia, se si esclude lo spazio virtuale on line che per molti bambini ed adolescenti è diventato il nuovo cortile. Tuttavia, tempo e gioco libero sono un’occasione unica per esercitare le life skills e mettersi alla prova nelle relazioni sociali.
I ragazzi detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (IPM) a marzo 2023 erano 380 (di cui 178 di origine straniera), pari al 2,7% del totale dei ragazzi in carico ai servizi della giustizia minorile (14.198 alla stessa data). Dei detenuti 200 sono i giovani adulti tra i 18 e i 25 anni che hanno commesso il reato da minorenni.
Al 31 dicembre 2022 sono arrivati in Italia via mare 13.386 minori stranieri non accompagnati (MSNA), con un significativo aumento. Nessun dato analogo è invece disponibile rispetto agli arrivi dei minorenni alle frontiere terrestri, i quali risultano monitorati in rapporto alle segnalazioni dei minori presenti sul territorio, e quindi coloro che non sono stati presi in carico dal sistema sono completamente invisibili: tale circostanza dovrebbe rappresentare il punto di partenza di una necessaria riflessione e analisi del sistema di tutela e protezione dei minori. Alla stessa data risultano presenti sul territorio italiano 20.089 minori stranieri non accompagnati, di cui l’85,1 % è rappresentato da maschi.
C’è una relazione allarmante tra lavoro minorile e dispersione scolastica. Il lavoro minorile prima dell’età legale consentita è tuttora ampiamente diffuso nel nostro Paese: si stima che 336 mila minorenni tra i 7 e i 15 anni (il 6,8% della popolazione di quella fascia di età) abbiano avuto esperienze di lavoro, continuative, saltuarie o occasionali. Questi giovani rischiano di andare ad accrescere il numero dei c.d. poor workers, con un inserimento precario nel mercato del lavoro, salari bassi, mansioni non qualificate, a scarso contenuto professionalizzante, oppure di vivere sospesi tra ricerca di lavoro e inattività, fuori da qualsivoglia percorso formativo. Nel 2022 i lavoratori di 15-17 anni sono stati 69.601, in forte aumento rispetto agli anni precedenti.
A cura del Coordinamento del Gruppo CRC